Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/467

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67.Tra duo colli, ch’ai Sol volgon le spalle
dense di pruni, e di fioretti ignude,
nel cupo sen d’una profonda valle
giace un vallon, che forma ha di palude;
e se non quanto ha solo un picciol calle,
scagliosa selce in ogni parte il chiude.
Quel macigno che ’l cerchia, alpestro ed erto
lascia sol (ben ch’angusto) un varco aperto.

68.Quivi nel mezo di funeste fronde
ombreggiato per tutto un lago stagna,
che con livido umor di putrid’onde
sempre sterile e sozzo il sasso bagna.
Non ha dintorno a le spinose sponde
(perché scoscese son) molta campagna,
ma breve piazza in su ’l sentier si scerne
tutta di greppi cinta, e di caverne.

69.Non toccò mai l’abominabil riva
(ben ch’affamato e sitibondo) armento,
ché l’erba e l’acqua fetida e nociva
d’assaggiar, di gustar prende spavento.
Non sol la Ninfa e ’l Fauno ognor la schiva,
non sol l’aborre il Sole, e l’odia il vento,
ma da la spiaggia immonda ed interdetta
fuggon lontano il Lupo e la Civetta.

70.Quest’è l’albergo, del Cinghiai non dico,
ma de l’ira del Ciel che lo produsse.
Taccia pur Calidonia il grido antico
del flagello crudel che la distrusse.
L’Arabo inculto o il Garamanto aprico
mostro non ebbe mai, ch’egual gli fusse.
Qui s’accovaccia, e dentro l’acqua nera
stassi attuffata la solinga Fera.