Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/477

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107.Ed ecco in questi torbidi riposi
tra le notturne e mattutine larve
con occhi ahi quant’oscuri e lagrimosi
del bell’idolo suo l’ombra l’apparve.
Cotal non giá, qual ne’ giardini ombrosi
quando in Cipro il lasciò, vivo le parve.
Sconciamente ferito, e ’n vista essangue
dal bel fianco piovea gorghi di sangue.

108.La chioma, il cui fin or piú d’una volta
de le glebe de l’Indo il pregio ha vinto,
squallida, bruna, e bruttamente incolta
l’usato suo splendor le mostra estinto.
Il viso, ov’ogni grazia era raccolta,
de la notte d’Averno è sparso e tinto,
e macchiato del fumo è d’Acheronte
il chiaro onor de la superba fronte.

109.Poi che di lui, ch’avea nel cor ritratto,
la nota effigie riconobbe a pena,
— Ahi qual altrui perfidia, o tuo misfatto? —
gridò — qual fato a tanto duol ti mena?
E dond’avien, che si dolente in atto
conturbi del mio Ciel l’aria serena?
Se’ tu ’l mio Adone? o da fallaci forme
deluso il tristo cor vaneggia e dorme?

110.Dunque in preda mi lasci a pianto eterno?
Dunque iniquo destin tanto ha potuto?
Ti rapí forse in Cielo, o ne l’Inferno
per amor Giove, o per invidia Fiuto?
Rispondi o caro mio; perché ti scemo
in tanta afflizzTon tacito e muto?
Dove son, mia dolcezza, e mio tesoro,
le parole di mèle, e i motti d’oro?