Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/54

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175.Falsirena, che miri? a che piú stai
sospesa si? quest’è il sembiante istesso
lungo tempo temuto. Èccoti omai
de l’ombra il ver: che miri? egli è ben desso.
Questi son pur que’ luminosi rai
che giá tanto fuggivi: or gli hai da presso.
Perché non schivi il tuo dolor fatale?
dov’è il tuo senno? o tua virtú che vale?

176.Mira, e non sa che mira, e mira molto,
ma poco pensa, e sospirando anela.
Varia il colore, il favellar l’è tolto,
sta confusa e smarrita, avampa e gela.
Tien fiso il guardo in quel leggiadro volto,
non palesa i desiri, e non gli cela.
Abbassa gli occhi per fuggir l’assalto,
poi le mani incrocicchia, e gli erge in alto.

177.Fan l’occhio insieme e ’l cor dura contesa,
quel si rivolge a vagheggiar la luce,
questo, per non languire in fiamma accesa,
vorria fuggir l’ardor ch’ella produce.
L’un brama gioia, e l’altro teme offesa:
e perché ’l cor de l’occhio è guida e duce,
di ritirarlo a piú poter si sforza:
ma l’oggetto del bello il tragge a forza.

178.Saetta è la beltá, che l’alma uccide
subitamente, e passa al cor per gli occhi.
Fu la beltá, ch’ella in mal punto vide,
a punto come fólgore che scocchi.
Fu l’occhio, che segui scorte malfide,
qual ghiaccio fin, s’avien che raggio il tocchi,
ch’arid’ésca vicina accender suole,
e ferir di scintille il viso al Sole.