Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/565

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187.Ninfa, or ch’a me non piú visibil sei,
raddoppiar m’udirai l’alto lamento,
ché la cagion s’accresce ai pianti miei,
e de la gelosia cresce il tormento;
e son, non che de’ salsi umidi Dei,
non che d’ogni augelletto, e d’ogni vento,
non che d’ogni animai del regno ondoso,
degli scogli e del mar fatto geloso.

188.Pesce felice, e te vie piú felice
Pesce c’hai cento braccia e cento branche,
cui sovente non pur da presso lice
mirar le membra cristalline e bianche,
ma toccarle talor non si disdice
dal lungo nuoto affaticate e stanche:
le stringi in cento guise, in cento nodi,
e di tal gloria insuperbisci e godi.

189.Felice e te, che ripiegata in arco
la coda incurvi e ’l tergo ispido e nero,
e di ragion talvolta e d amor carco
fai di te stesso a lei nave e destriero.
Poco ad Atlante il suo stellato incarco
invidii tu, di piú bel peso altero,
qualor portando i vaghi membri a galla
mordi il suo freno, e la sostieni in spalla.

190.Cieco dunque io non son, ben che si veggia
l’orbe di questo ciglio orbo rimaso,
ché ’l chiaro Sol, che nel mio cor lampeggia,
non tramontò nel miserabil caso,
e l’alma innamorata ancor vagheggia
il suo Oriente in quest’oscuro Occaso,
e la beltá, che piú di fuor non vede,
a riveder ne la memoria riede.