Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/573

Da Wikisource.


219.Né piú di mazza omai, né di sampogna
gagliardia, melodia vo’ che mi vaglia,
né piú d’onor, né piú d’amor bisogna
che ’n si misero stato unqua mi caglia.
Prenderò di me stesso ira e vergogna,
e se fia mai che la mia greggia assaglia
lupo, che per rubar venga dal bosco,
fuggirò brancolando a l’antro fosco.

220.Ma che? se per mio scampo io non ti reco
tra fere e mostri, e tra dirupi e poggi,
chi guiderá lo sventurato cieco?
dove sará che le sue membra appoggi?
Buona trave e fedel, vientene meco:
da te l’ultimo ossequio avrò fors’oggi.
Se ’n vita al tuo Signor fosti consorte,
ben devi ésca al suo rogo esser in morte.

221.Voi senza guardia intorno e senza guida
ve n’andrete dispersi o cari agnelli,
né potrá piú la vostra scorta fida
tergervi l’unghie, o pettinarvi i velli.
So che mossi a pietá de le mie strida
disdegnerete i pascoli e i ruscelli,
mostruosi formando e disusati
gemiti umani in vece di baiati.

222.A dio cari Molossi, e fidi Alani,
e voi Mastini miei pronti e leggieri,
del mio pregiato ovil campion sovrani,
forti custodi, intrepidi guerrieri.
Non piú di greggia omai, non piú di cani
al vostro afflitto Duce è di mestieri.
Né piú Pastor, né cacciator fia d’uopo
che d’esser pensi il misero Ciclopo.