Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/66

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223.Cosi favella, e volentier l’orecchia
porge la Fata a quel parlar soave;
ma mentre a l’altra in fronte ella si specchia,
se stessa affrena, e sbigottisce e pavé.
De la severa ed onorata Vecchia
teme lo sdegno, e ’n reverenza l’have.
Da lei si guarda, e sue lascivie immonde,
che communica a quella, a questa asconde.

224.Ai detti de l’iniqua instigatrice
costei con torto sguardo e torvo ciglio
veggendo a sciolto fren quella infelice
correr per via sinistra alto periglio,
a sé la chiama, e — Figlia, odi — le dice —
odi (ti prego) il mio fedel consiglio.
Non gir dove costei t’alletta e sprona,
ch’è contrario a ragion quanto ragiona.

225.Mille onor chiari assai sovente annera
picciola macchia. Oimè, che fai? che pensi?
Non sai, ch’a un punto sol la gloria intera
in molt’anni acquistata, a perder viensi?
Figlia è de la ragion la gioia vera,
non del piacere allettator de’ sensi.
Con quella onore e prò mai sempre vanno,
questo produce sol vergogna e danno.

226.Qual insania sospigne i tuoi desiri?
Che vuoi tu far d’un vagabondo amico?
Un che non ha (se con dritt’occhio il miri)
tetto, né suolo? un peregrin mendico?
Ma qual certezza hai tu, ch’ei non s’adiri?
Che sai, se quanto è bel, tanto è pudico?
Che sai, se d’altro foco acceso prima,
il tuo amor nulla cura, e nulla stima?