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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/69

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235.Ma credi tu che questa tua pudica,
che sí schiva d’Amor si mostra in detti,
se richiamar ne la sua scorza antica
gli anni freschi potesse e giovinetti,
o s’amante trovasse, a lui nemica
(come in parole appar) fusse in effetti?
o che ’n su ’l fior de la beltá perduta
tant’avesse onestá, quant’ha canuta?

236.Bellezza, gioventú, grazia amorosa,
ma non goduta, in donna avara e stolta
è qual luce di Sol tra nubi ascosa,
è qual sotterra o in mar gemma sepolta,
è qual vermiglia ed odorata rosa,
che dal bel cespo in sua stagion non còlta,
cadendo arida poi, vedesi alfine
di sue ricchezze impoverir le spine.

237.E se bene il tuo fior giá mai non cade,
né da bruma senil seccar si lassa,
poi che ’l tuo corpo in qualsivoglia etade
è come il Ciel, d’incorrottibil massa;
non deve in ozio star tanta beltade,
perché ’ndietro non torna il ben che passa;
né per che la stagion sia sempre verde,
si racquista piú mai quel che si perde. —

238.Come fra duo talor Fisici esperti,
nel consiglio discordi, infermo stanco
a pensier vari e di salute incerti
dubbio si volge, e d’or in or vien manco,
cosí costei de’ duo rimedi offerti
amaro e dolce al tormentato fianco
il miglior non distingue, afferma e nega,
or a questo, or a quel s’inchina e piega.