Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/721

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367.Cosí dicea Minerva, e ben di quanto
parlato avea veraci erano i detti,
perch’altamente a le lor prove intanto
posto avean fin gli armeggiatori eletti.
Onde volendo, oltre la loda e ’l vanto,
remunerargli con cortesi effetti,
con questo dir la dispensiera bella
rivolse a lor la faccia e la favella:

368.— Or qual cosa avrò mai ch’ai vostro merto,
invittissimi Eroi, ben si convegna?
Non se fusse del mar l’erario aperto,
ricchezza avria di tal valor condegna.
Man, che larga altrui dona, io so ben certo
che don picciolo e basso aborre e sdegna.
Pur senza aver riguardo a vii tesoro
gradirete il desir, con cui v’onoro.

369.Voi, che dove il Po sorge in picciol rivo,
Principi generosi, avete il trono,
queste tre gemme or non prendete a schivo,
che ’n segno sol del buon voler vi dono.
L’una è carbonchio, e v’è intagliato al vivo
cinto di fiamme il gran Rettor del tuono
quando i Giganti fulmina da l’Etra,
e ’l foco imita ben l’istessa pietra.

370.L’altra d’Apollo con la cetra e ’l plettro
mostra incisa l’effigie in un zaffiro,
ed è legata in un anel d’elettro
c’ha di smalti eritrei distinto il giro.
Ne la terza lo Dio che tien lo scettro
del quinto cerchio egregie man scolpirò,
gemma di quella indomita durezza
cui né foco disfá, né ferro spezza.