Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/92

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15.Una colomba ancor vaga e lasciva
uccise di candor simile al latte,
e poi che quante piume ella vestiva
tarpate l’ebbe a penna a penna e tratte,
donolle in cibo a quella fiamma viva
fin che fur tutte in cenere disfatte;
ma prima le legò ne l’ala manca
con rosso fil la calamita bianca.

16.Ciò fatto, strinse in tre tenaci nodi
una ciocca di crin, ch’io non so come,
dormendo Adon, con sue sagaci frodi
gli tolse Idonia da le bionde chiome.
Sputò tre volte, e ’n tre diversi modi
disse, l’amante suo chiamando a nome:
— Resti legato, né mai piú si scioglia
il crudo sprezzator d’ogni mia doglia. —

17.A sembianza di lui di vergin cera
imagin poi misteriosa ammassa,
e con un stecco di mortella nera
ben aguzzo e pungente il cor le passa.
E mentr’appo l’arsura atroce e fiera
a poco a poco distillar la lassa,
dice volgendo il ramoscel del mirto:
— Cosi foco d’Amor strugga il suo spirto.

18.D’Hippopotamo un core alfine ha preso,
ne la riva del Nil nato e nutrito,
che de la nova Luna ai raggi appeso,
era a la sua fredd’ombra inaridito;
e di faville oltracocenti acceso,
e di spilli acutissimi ferito,
l’agita, il move, il trae come piú vòle,
mormorando tra sé queste parole: