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orazioni, giaché penso che i caratteri della sua penna non siano per trovarmi in Roma. Del resto, io 1’assicuro che sarò sempre geloso della sua grazia ed in Spagna non potrò godere maggiore consolazione che con la’ lettura delle sue dolcissime lettere, e tanto piú quando saranno accompagnate con quei commandi che da me sono tanto desiderati.

Di Roma, 4 maggio 1639.

CLXIII

A monsignor Cesare Fachinetti


Risposta alla lettera precedente.

Come poteva io dare il buon viaggio a V. S. illustrissima se fui sempre di parere, cosi persuaso dall’interesse de’ padroni, Ch’Ella non avesse a partir di Roma? Ma, poiché in questa mendicitá di pace i suoi talenti sono altrettanto necessari in Spagna quanto erano utili alla corte, e perciò Ella finalmente dee partire, le do con tutto lo spirito mio e con tutta l’anima mia il buon viaggio, e prego Dio che snervi il furore a’ venti, che debiliti gl’impeti alle tempeste, che torni all’ordine della natura i disordini dell’onde, perché Ella e salva e felice gionga al porto di Barcellona. E quindi, quando sará gionta alla gran corte di Spagna, due cose io spero di lei. La prima è ch’Ella sará con accoglienze straordinarie ricevuta, con maraviglia inaudita udita e con dolore ineffabile, quando che sia, licenziata. La seconda è che Roma con un’insolita sinceritá predicherá che l’apostolica Sede non fu mai da penna piú valorosa e da lingua piú faconda nelle sue nunziature servita. Vada V. S. illustrissima, ché, dovunque la condurranno i venti e l’eterna providenza, io l’accompagnarò col cuore e, pieno di devotissima confidenza, sperarò dall’eterna mano che di quante speranze delle sue grandezze ho pieno l’affetto, d’altretante aure favorevoli siano per esser gonfie le sue vele per condurla al suo porto. Intanto umilissimamente la riverisco.

[Bologna, maggio 1639].