Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/282

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sia nuovamente mutata e che, per compiacere a lui e non per altro, vada procrastinando questa ristampa. Non do loro fede, se ben so che V. S. tien con lui intrinsica amicizia e che passa seco lettere tanto spesse quanto importa lo scriversi l’un l’altro per ogni posta. Perché so anco che questo si può fare da chi sia uomo da bene senza mancar di lealtá agli altri amici.

Adunque, non ostante alcuna delle sopradette discrepanze, io aspetto da V. S. con sicurezza l’effettuazion del mio negozio, confidando di non aver mai a restare ingannato dalla parola di lei, si come di galantuomo che la tengo. Alla qual per fine bacio le mani.

Di Parma, 7 d’aprile 16x9.

XXXVIII

A’ SIGNORI ACCADEMICI DELLA CRUSCA, A FlORENZA


Si difenda da una critica grammaticale mossagli dall’accademia intorno alla forma «votti» usata nel Mondo nuovo.

Di quei savi avvertimenti, de’ quali le SS. VV. m’hanno favorito per lor lettere sopra il mio Mondo nuovo , alcuni ho io giá eseguiti, alcuni ho da eseguire, ed a certi non consento. E quantunque di questi ultimi io mi sia riserbato a divisar distesamente con esso loro in viva voce, coll’occasion che dovrò esser tosto costi di passaggio da Parma per Roma; nulladimeno non mi son potuto contener che di presente non iscriva qualche cosa intorno ad un solo d’essi, il qual pare essere il piú irrefragabile e che non abbia risposta. Forse è temeritá il quistionar di lingua con persone che ne dovrebbono essere arbitri e che di fatto ne sono; ma, perché la lingua con che oggi si scrive non è affatto quella con che oggi si parla, e perché nell’una e nell’altra ho impiegato ancor io qualche studietto (tuttoché di nascita non sia toscano), non mi vergognerò d’esporre ora qui alquante mie prove, affine che dalle SS. VV. mi si faccia veder dove erro e dove giustamente m’appongo. Le quali prove non son però tutte quelle ch’io potrei sopra tale avvertimento