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idilli pastorali 113


     Vestan la terra pur Zefiro e Flora
di verde gonna e di purpureo manto;
aprano lieti al sol, sciolgano a l’ôra
i fiori il riso e gli augelletti il canto:
a me, lasso! convien non d’altro ognora
pascersi che di tenebre e di pianto,
o che l’anno da noi, mutando i giorni,
canuto parta o che fanciul ritorni.
 
     Forse l’incendio mio, forse il mio affanno
t’è, Clori, ascoso, e non ben anco il credi?
S’io ardo, s’io mi struggo e s’io t’inganno,
tu ’l sai, che spesso in fronte il cor mi vedi.
Sannol quest’antri, e questi boschi il sanno:
a questi boschi ed a quest’antri il chiedi.
Dillo tu mormorando, ondoso rio,
se t’asciugò sovente il foco mio.
 
     Ditel voi, selve, o de’ miei tristi amori,
selve, compagne e secretarie antiche;
ditel, ombre riposte e fidi orrori,
chiuse valli, alti colli e piagge apriche;
e voi, sí spesso il bel nome di Clori
avezze a risonar, spelonche amiche;
Eco, e tu, che talor de’ miei lamenti
ti stanchi a replicar gli ultimi accenti.
 
     Odi quel rossignuol, che spiega il volo
da l’orno al mirto e poi dal mirto al faggio;
odi come, dolente a tanto duolo,
del tuo torto si lagna e del mio oltraggio;
e par che dica sconsolato e solo,
s’intender ben sapessi il suo linguaggio:
— Abbi pietá d’Ergasto, o Clori avara,
da le cui note ogni augelletto impara! —

G. B. Marino, Poesie varie. 8