Pagina:Marino Poesie varie (1913).djvu/311

Da Wikisource.

versi di occasione 299

xxxiii

allo stesso

in memoria del maestro di lui, Sertorio Peppi.

     S’egli è pur ver ch’a le beate e belle
anime scarche del terrestre peso
da legge unqua fatal non è conteso
de le cose mortali udir novelle;
     pur dee, di lauro or no, ma di fiammelle
cinto, e di rai d’immortal gloria acceso,
il buon Sertorio, al nostro mondo inteso,
gioir di lá dal cerchio de le stelle:
     te veggendo, signor, da cui giá degno
trasse suggetto a l’onorate rime,
vòlto i suoi fregi a far piú chiari in parte;
     e se stesso lassú spirto sublime,
fatto qua giú dal tuo cortese ingegno
e ne le tele eterno e ne le cartaFonte/commento: ed.1602.



xxxiv

allo stesso

nelle avversitá sofferte dal poeta.

     Mentre, signor, de la piú bella parte,
che ’l Volturno circondi, il fren reggete,
ed a toccar dal vulgo ite in disparte
del vero onor le piú lontane mète;
     ed or di Giove or di Nettuno e Marte
a nòve cure il gran pensier movete,
ed or le sacre or le profane carte
de le tre miglior lingue anco volgete:
     me giá l’ombre e gli orrori e ’l pianto eterno
sommerso alberga in un profondo oblio
questo d’afflitti vivi oscuro inferno;
     né può la lira che da Febo ebb’io,
perch’ella in altra man placasse Averno,
arrestar le sue Furie al dolor mio.