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epitalami e panegirici 319

a difesa del bosco,
e le driadi impudiche,
vaghe d’esser vedute,
e i rozzi dèi silvestri iva cacciando;
parte i satiri osceni e i fauni audaci,
che stavano da lunge
a risguardar ne l’antro,
era per gioco a saettare intento:
quando repente udissi
da la cittá vicina
di liete voci e di festivi plausi
e di musiche lire
e di balli concordi alto concento,
lo qual d’epitalamica allegria
empiea la valle e ’l monte, ed ingombrava
la terra e ’l ciel. Ferí l’orecchie allora
de la dea sonnacchiosa
la gioconda armonia;
onde desta s’assise e da’ begli occhi
col bianco dito e tenero si terse
le reliquie del sonno,
del sonno, che, scacciato
da sí felici e sí lucenti alberghi,
vie piú si dolse assai
che quando, dal gran Giove
precipitato, abbandonò le stelle.
Ella dal letto morbido e fiorito
levossi, e sí com’era,
scompigliata le trecce e ’l crin confusa,
de l’alata famiglia
chiamò le sparse schiere, e d’Imeneo
richiese a mille ninfe, a mille Amori.
Costui, figlio di Bacco,
generato di musa,
la bella Citerea sceltosi e fatto
duca e signor de’ maritaggi avea.