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Pagina:Marino Poesie varie (1913).djvu/368

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356 parte ottava

quanto è piú dolce e piú giocondo almeno,
petto a petto congiunto e volto a volto,
bella donna, che t’ami, in braccia accôrre,
bocca a bocca comporre,
e, con cambio reciproco d’amore,
amar beltá che, a le tue voglie ingorde
rispondente e concorde,
spirto unisce con spirto e cor con core,
e de la gioia egual, che teco prende,
quanto a punto le dái, tanto ti rende!
     Chi pria le leggi immaculate e sante
del Monarca immortal ruppe e disciolse,
e morbo al mondo e vituperio accrebbe,
quando, del sesso suo perfido amante,
in uso reo l’armi d’amor rivolse,
e di tradir natura orror non ebbe;
fèra dirsi non debbe,
benché in atto ferino il cielo offese:
gli ordini a lor prescritti entro le selve
serbano ancor le belve,
né di fiamma sí brutta han l’alme accese.
Fèra non fu, ma furia empia d’Averno,
il trasgressor del gran decreto eterno.
     Macchiasti tu de l’innocenza antica
il semplice candor, sozza inventrice
sol di vizio e d’error, novella etade!
Quindi a l’altrui libidine impudica
l’empia delizia, d’ogni mal nudrice,
strade insolite aperse e non usate.
Leggi, e voi non v’armate?
fiamme, e voi non ardete? incendio e peste,
e non piovi e non struggi? e tu, guerrera
spada d’Astrea severa,
non recidi e non sveni? ira celeste,
tanto rigida piú quanto piú lenta,
né la tua destra ancor fulmini avventa?