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della coscienza è per noi la sola rivelazione dell’Assoluto: noi, dice Kant, possiamo dare un senso al mondo solo considerando l’uomo che vive sotto la legge morale. Ma la conoscenza è accompagnata naturalmente dall’azione, l’azione dalla conoscenza. Non è allora legittimo che lo spirito nostro si costruisca un’immagine della realtà assoluta, in armonia con questa rivelazione?

Kant non respinge quest’esigenza: ma purché si ricordi sempre che noi non possiamo conoscere se non il mondo dell’esperienza e che ogni altra vantata conoscenza è un’illusione. Il mondo che sta dinanzi a noi è solo una realtà fenomenica, relativa all’intelletto umano: essa ha il suo fondamento in una realtà razionale pura e perfetta, la quale si rivela a noi praticamente nella legge morale. Nulla vieta quindi che noi cerchiamo di rappresentarci la realtà assoluta sul fondamento della rivelazione morale: purché si tenga sempre presente che questo può avvenire soltanto per mezzo di una rappresentazione simbolica: vate a dire di una rappresentazione inadeguata che ci è utile per la pratica, ma che noi non dovremo mai considerare come una conoscenza vera e propria. Così noi possiamo rappresentarci il mondo come costituito in sè stesso da un sistema di esseri spirituali, fondato su d’un’unità perfettissima, dalla cui volontà buona tutto procede e tutto dipende; possiamo pensare il mondo come guidato nell’intimo suo da questa volontà: e la nostra vita come una specie di prova salutare che ha al di là della morte il compimento dei suoi destini. Ma non dobbiamo considerare queste nostre rappresentazioni come conoscenze vere ed adeguate e tanto meno opporle alle conclusioni della scienza, che sole sono conoscenze vere ed obbiettive. Il torto dell’antica metafisica è stato appunto questo: di attribuire alle sue costruzioni il valore di conoscenze e di contrastare, alterare o turbare, in pro di questo vano sapere, il vero sapere della scienza. Kant dà a queste rappresentazioni simboliche della realtà assoluta il nome di fede; con cui naturalmente vuol designare non una fede dogmatica, ma una fede razionale, un complesso di convinzioni fondate sulle ultime conclusioni della ragione, ma ben conscie di essere la figurazione inadeguata d’una verità che trascende ogni nostra potenza di conoscere.