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di una democrazia: e l’odierna democrazia sociale se non può più condannare alla cicuta gli intellettuali non è loro avara di altre amarezze. Anzi in nessun luogo corre tanto pericolo l’indipendenza del pensiero quanto nei così detti governi democratici, che sono, occorre appena dirlo, oligarchie di industriali e di legulei: dove l’incertezza del potere, i cozzi violenti dei diversi interessi, la pseudo-cultura grossolana dei dirigenti pesano sul sapere più duramente che non gli interessi d’una casta avvezza al potere e raffinata da consuetudini ereditarie. Noi ne abbiamo l’esempio negli Stati Uniti del Nord America dove non sono rare le offese alla libertà d’insegnamento e dove le stesse università di stato recentemente fondate «sono (scrive il prof. Perry) dal continuo alternarsi dei governi e dall’ambizione dei capi partito messe alla balia delle fazioni e ridotte in molti casi a veri asili di invalidi della politica, mentre i professori valenti e coraggiosi che non vogliono adattare le loro opinioni alla moda del tempo sono con fraudolenti raggiri cacciati dalle loro cattedre».

Del resto chi conosce quel capitolo grottesco e lamentevole della storia della cultura che è la storia del letterato attraverso i tempi, ben sa che l’attività intellettuale quando non è stata intesa come una funzione utile agli interessi egoistici della collettività, è stata equiparata ad un vero parassitismo sociale e come tale trattata e considerata. Il dotto nel medio evo, anche quando fa parte dell’università dipende materialmente dalla chiesa, le cui prebende e fondazioni attribuite alle università da papi e principi sono, almeno per la maggior parte delle università fino al XV secolo, l’unica rimunerazione pubblica degli insegnanti delle facoltà superiori, mentre i professori della quarta facoltà, quella che più direttamente rappresenta il sapere puro, sono ridotti a miserrimi emolumenti od ai più miseri onorarî dei loro corsi. Nel rinascimento il dotto è il parassita dei principi: e quando non è riuscito a procacciarsi una protezione che gli assicuri il pane, lo vediamo errare di città in città a guadagnarsi la vita ora con l’insegnamento, ora con la correzione delle bozze, ora, e ciò più spesso, mendicando con la più indecorosa bassezza una mercede alle sue adulazioni. Più tardi la dedica delle opere a principi od a ricchi mecenati costituisce una delle forme più ordinarie di questa dotta mendicità,