Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/236

Da Wikisource.
216 trattato

culative scienze umanamente trovate ci dimostrano: per queste ragioni giudica per l’intelletto l’uomo essere più nobile di tutti gli altri corpi, e da quelli quasi per infinito distare. Così per opposto considerando quale sia il principio della vita sua, aumento, stato e decremento, e finalmente corruzione o morte, cose tutte eziandio ai vilissimi animali comuni: dall’altra parte la perfezione delle sostanze immateriali, l’altezza delle incomprensibili opere di Dio, le angustie e molestie e calamità che in ogni stato ad ogni uomo ed in ogni tempo insurgono, la inquietudine dell’appetito e volontà sua, la repugnanza che fra il senso e la ragione si trova (come di se ne scrive Paolo Apostolo: Video aliam legem in membris meis repugnantem1): l’appetito e volontà insaziabile di conoscere, di poter dominare, e ultimatamente di permanere in perpetuo, che per la amara memoria della morte necessaria spesse volte si rinnuova; dissimilmente da sè tutti gli altri animali avere più requie e tranquilla vita, forzato afferma se essere agli altri animanti inferiore, infelice e miserabile. Adunque conoscendosi in questo confino ovvero orizzonte, secondo il modo di parlare di più filosofi, costituito e locato, conclude e con le vili e con le eccellenti scienze avere affinità e consorzio: onde per conclusione tiene sè essere un piccolo mondo, perchè ha l’essere con le cose inanimate, ha il nutrirsi e crescere e governare con le piante, ha il sentire con i bruti, e ultimatamente la ragione e l’intelletto con gli spiriti: intanto che dai Greci è chiamato Microcosmos, cioè piccolo mondo. Così adunque presupponendo l’intelletto umano essere incorruttibile, come afferma Cicerone nelle Tusculane2, Platone in più luoghi e specialmente nel suo Timeo, e Aristotile nel terzo dell’Anima3, si vede essere partecipe di vita sempiterna e vera beatitudine: e oltre a questo, come tutte le altre cose, essere stato prodotto da una prima cagione agente e ultimo fine, al quale bisogna pervenire, non essendo processo infinito nelle cagioni, come dimostra Aristotile nella sua Metafisica4. Questo medesimo tacitamente questo mondo con la sua

  1. Epistola ad Romanos, cap. VII, 23.
  2. Tuscul. disput. 1, 19.
  3. Lib. III, 4.
  4. Metaphysicorum, I, 3.