Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/170

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mandato a dire che ci volevano dei fiori; quanti candelieri si erano potuti avere in prestito, a Sant’Agata e nell’altre chiese. Diodata ci aveva pure messi in bell’ordine tutti i tovagliuoli arrotolati in punta, come tanti birilli, che portavano ciascuno un fiore in cima.

— Bello! bello! — approvò il marchese. — Una cosa simile non l’ho mai vista!... E questi qui, cosa fanno?

Ai due lati della tavola, come i giudei del Santo Sepolcro ci erano Pelagatti e Giacalone, che sembravano di cartapesta così lavati e pettinati.

— Per servire il trattamento, sissignore!... Mastro Titta e l’altro barbiere suo compagno si son rifiutati, con un pretesto!... Vanno soltanto nelle casate nobili quei pezzenti!... Temevano di sporcarsi le mani qui, loro che fanno tante porcherie!...

Giacalone, premuroso, corse tosto con una bottiglia per ciascuna mano. Il marchese si schermì:

— Grazie, figliuol mio!... Ora mi rovini il vestito, bada!

— Di là ci sono anche le tinozze coi sorbetti! — aggiunse don Santo.

Ma appena aprì l’uscio della cucina, si videro fuggire delle donne che stavano a guardare dal buco della serratura.

— Ho visto, ho visto, caro parente. Lasciateli stare; non li spaventate.