Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/208

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— Com'è vero Dio!... Io l’ho fatto e io lo disfo!... — urlava il vecchio Motta inferocito. — Largo! largo! — si udì in mezzo alla folla.

Giungeva don Giuseppe Barabba, agitando un biglietto in aria. — Canonico! canonico Lupi!... — Questi si spinse avanti a gomitate. — Va bene — disse, dopo di aver letto. — Dite alla signora Sganci che va bene, e la servo subito.

Barabba corse a fare la stessa imbasciata nell’altra sala. Quasi lo soffocavano dalla ressa. Il canonico si buscò uno strappo alla zimarra, mentre il barone stendeva le braccia per leggere il biglietto. Canali, Barabba e don Ninì litigavano fra di loro. Poscia Canali ricominciò a gridare: — Largo! largo! — E s’avanzò verso don Gesualdo sorridente:

— C’è qui il baronello Rubiera che vuole stringervi la mano!

— Padrone! padronissimo! Io non sono in collera con nessuno.

— Dico bene!... Che diavolo!... Oramai siete parenti!...

E tirando pel vestito il baronello li strinse entrambi in un amplesso, costringendoli quasi a baciarsi. Il barone Zacco corse a gettarsi lui pure nelle loro braccia, coi lucciconi agli occhi.

— Maledetto il diavolo!... Non sono di bronzo!... Che sciocchezza!...

Il notaro sopraggiunse in quel punto. Andò prima