Vai al contenuto

Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/269

Da Wikisource.

— 261 —



IV.




"Se agglomerate cerimonie tema non forman delle mie verghe non ne traligna l’ossequio. Sì che sorgenti men fallaci e più stabili le sole preci ne reputo. Il favor di un vostro sguardo è quel che anelo, e lo ambisco mercè delle melenzose mie riga.

"L’ore 7 del 17.

"Barone Antonino Rubiera."



— Sicuro! — aggiunse mastro Titta che stava sull’uscio del palchetto, mentre donna Fifì compitava la letterina. — Me l’ha data lui stesso, il baronello, per consegnarla di nascosto alla prima donna. Ma, per carità! Son padre di famiglia!... Non mi fate perdere il pane.

Donna Fifì, gialla dalla bile, non rispose neppure. Di nascosto, dietro il parapetto, spiegazzava la lettera con mano febbrile. Indi la passò alla mamma che balbettava.