Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/313

Da Wikisource.

— 305 —

il cugino Limòli avviasse il discorso sul tema che sapeva. Ma intanto osservava di sottecchi le arie languide di donna Fifì, la quale sembrava struggersi sotto le occhiate incendiarie di don Bastiano Stangafame, e non poteva star ferma sulla seggiola, col seno piatto ansante come un mantice, e i piedini irrequieti che dicevano tante cose affacciandosi ogni momento dal lembo del vestito. La conversazione languiva. Si parlò del battesimo e della gente che c’era stata. Ma ciascuno pensava intanto ai fatti suoi, chiacchierando del più e del meno, cercando le parole, col sorriso distratto in bocca. Solo il marchese sembrava che pigliasse un grande interesse ai discorsi del capitano, quasi non fosse fatto suo. Poi, sbirciando il viso rosso di donna Giovannina che stava a spiare dall’uscio socchiuso, la chiamò a voce alta.

— Avanti, avanti, bella figliuola. Vogliamo vedere quella bella faccia. Siamo qui noi soli, in famiglia...

La mamma e la sorella maggiore fulminarono due occhiataccie addosso alla ragazza, la quale rimaneva sull’uscio, nascondendo le mani di serva sotto il grembiule, vergognosa di esser stata scoperta a quel modo, vestita di casa. Limòli, senza accorgersi di nulla, domandava sottovoce a donna Bellonia:

— Quando la maritiamo quella bella figliuola? Prima tocca alla maggiore, è naturale. Ma poi ricor-