Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/36

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fondità di una caverna, venivano le risate di Alessio e della serva che riempivano i barili, e il barlume fioco del lumicino posato sulla botte.

— Rosaria! Rosaria! — tornò a gridare la baronessa in tono di minaccia. Quindi rivolta al cugino Trao: — Bisogna darle spesso la voce, a quella benedetta ragazza; perchè quando ci ha degli uomini sottomano è un affar serio! Ma del resto è fidata, e bisogna aver pazienza. Che posso farci?... Una casa piena di roba come la mia!...

Più in là, nel cortile che sembrava quello di una fattoria, popolato di galline, di anatre, di tacchini, che si affollavano schiamazzando attorno alla padrona, il tanfo si mutava in un puzzo di concime e di strame abbondante. Due o tre muli della lunga fila sotto la tettoia, allungarono il collo ragliando; dei piccioni calarono a stormi dal tetto; un cane da pecoraio, feroce, si mise ad abbaiare, strappando la catena; dei conigli allungavano pure le orecchie inquiete, dall’oscurità misteriosa della legnaia. E la baronessa, in mezzo a tutto quel ben di Dio, disse al cugino:

— Voglio mandarvi un paio di piccioni, per Bianca...

Il poveraccio tossì, si soffiò il naso, ma non trovò neppure allora le parole da rispondere. Infine, dopo un laberinto di anditi e di scalette, per stanzoni oscuri, ingombri di ogni sorta di roba, mucchi di fave e di orzo riparati dai graticci, arnesi di campagna, cassoni