Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/361

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ostinati, quel mento inchiodato sul petto, quella smania di cacciarsi coi suoi libri in certi posti solitari, per far la letterata anche lei, una ragazza che avrebbe dovuto pensare a ridere e a divertirsi piuttosto....

Finora erano ragazzate; sciocchezze da riderci sopra, o prenderli a scappellotti tutt’e due, la signorina che mettevasi alla finestra per veder volare le mosche, e il ragazzo che stava a strologare da lontano, di cui vedevasi il cappello di paglia al disopra del muricciuolo o della siepe, ronzando intorno alla casina, nascondendosi fra le piante. — Don Gesualdo aveva dei buoni occhi. Non poteva indovinare tutte le stramberie che fermentavano in quelle teste matte, — i baci mandati all’aria, e il sole e le nuvole che pigliavano parte al duetto — a un miglio di distanza, — ma sapeva leggere nelle pedate fresche, nelle rose canine che trovava sfogliate sul sentiero, nell’aria ingenua di Isabella che scendeva a cercare le forbici o il ditale quando per combinazione c’era in sala il cugino, nella furberia di lui che fingeva di non guardarla, come chi passa e ripassa in una fiera dinanzi alla giovenca che vuol comprare senza darle neppure un’occhiata. Vedeva anche nella faccia ladra di Nanni l’Orbo, nel fare sospettoso di lui, nell’aria sciocca che pigliava, quando rizzavasi fra i sommacchi, mettendosi la mano sugli occhi, per guardar laggiù, nel viale, o si cacciava carponi fra i fichi d’India, o ve-