Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/377

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era un galantuomo, un buon cuore. Non l’avrebbe fatta una porcheria. — Non scappate! Sentite qua! Non è vero? Non siete un galantuomo?

— No! no! Lasciatemi sentire quello che pretendono. E’ meglio spiegarsi chiaro.

Ma la sorella non gli dava più retta, seduta su di un sasso, fuori dell’uscio, borbottando fra di sè. Massaro Fortunato toccò pure degli altri tasti: il gastigo di Dio che avevano sulle spalle, l’ora che si faceva tarda. Intanto mastro Nardo tirò fuori la mula dalla stalla. Rimasero ancora un pezzetto lì fuori a tenersi il broncio. Poi don Gesualdo propose di condurseli tutti a Mangalavite. Il cognato Burgio serrava l’uscio a chiave, e caricava sul basto i pochi panni, che aveva raccolti in un fagottino. Speranza non rispose subito all’invito del fratello, sciorinando lo scialle per accingersi alla partenza, guardando di qua e di là, cogli occhi torvi. Infine spiattellò quel che aveva sullo stomaco:

— A Mangalavite?... No, grazie tante!... Cosa ci verrei a fare... se dite che è roba vostra?... Sarebbe anche un disturbo per vostra moglie e la figliuola... due signore avvezze a stare coi loro comodi... Noi poveretti ci accomodiamo alla meglio... Andremo alla Canziria. Andremo piuttosto alla fornace del gesso che ha lasciato mio padre, buon’anima... Quella sì!... Colà almeno saremo a casa nostra. Non direte d’a-