Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/40

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A un tratto si sentì la bocca amara come il fiele anch’essa.

— Non so, cugino, — gli rispose secco secco. — Non so come ci entri io in questi discorsi...

Don Diego stette un po’ a cercare le parole, guardandola fisso negli occhi che dicevano tante cose, in mezzo a quelle lagrime di onta e di dolore, e poi nascose di nuovo il viso fra le mani, accompagnando col capo la voce che stentava a venir fuori:

— Sì!... sì!... Vostro figlio Ninì!...

La baronessa stavolta rimase lei senza trovar parola, con gli occhi che le schizzavano fuori dal faccione apoplettico fissi sul cugino Trao, quasi volesse mangiarselo; quindi balzò in piedi come avesse vent’anni, e spalancò in furia la finestra gridando:

— Rosaria! Alessi! venite qua!

— Per carità! per carità! — supplicava don Diego a mani giunte, correndole dietro. — Non fate scandali, per carità! — E tacque, soffocato dalla tosse, premendosi il petto.

Ma la cugina, fuori di sè, non gli dava più retta. Sembrava un terremoto per tutta la casa: gli schiamazzi dal pollaio; l’uggiolare del cane; le scarpaccie di Alessi e di Rosaria che accorrevano a rotta di collo, arruffati, scalmanati, con gli occhi bassi.

— Dov’è mio figlio, infine? Cosa t’hanno detto alla Vignazza? Parla, stupido! — Alessi dondolan-