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Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/44

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chè la loro roba poi andasse in mano di questo e di quello... capite?...

In quel mentre bussarono al portone col pesante martello di ferro che rintronò per tutta la casa, e suscitò un’altra volta lo schiamazzo del pollaio, i latrati del cane; e mentre la baronessa andava alla finestra, per vedere chi fosse, Rosaria gridò dal cortile:

— C’è il sensale... quello del grano...

— Vengo, vengo! — seguitò a brontolare la cugina Rubiera, tornando a staccare dal chiodo la chiave del magazzino. — Vedete quel che ci vuole a guadagnare un tarì a salma, con Pirtuso e tutti gli altri! Se ho lavorato anch’io tutta la vita, e mi son tolto il pan di bocca, per amore della casa, intendo che mia nuora vi abbia a portare la sua dote anch’essa...

Don Diego, sgambettando più lesto che poteva dietro alla cugina Rubiera, per gli anditi e gli stanzoni pieni di roba seguitava:

— Mia sorella non è ricca... cugina Rubiera... Non ha la dote che ci vorrebbe... Le daremo la casa e tutto... Ci spoglieremo per lei... Ferdinando ed io...

— Appunto, vi dicevo!... Badate che c’è uno scalino rotto... Voglio che mio figlio sposi una bella dote. La padrona son io, quella che l’ha fatto barone. Non l’ha fatta lui la roba! Entrate, entrate, mastro Lio. Lì, dal cancello di legno. È aperto...