Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/442

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Come s’affezionasse anche alla roba, in quel punto; come si risvegliasse in lei un rancore antico, una gelosia del marito che volevano rubarle, quella cattiva gente venuta apposta a chiuderle gli occhi, a impadronirsi di tutto il suo. Era diventata tale e quale una bambina, sospettosa irascibile, capricciosa. Si lagnava che le mettessero qualche cosa nel brodo, che le cambiassero le medicine. Ogni volta che si udiva il campanello dell’uscio c’era una scena. Diceva che mandavano via la gente per non fargliela vedere.

— Ho sentito la voce di mio fratello don Ferdinando!... È arrivata una lettera di mia figlia, e non hanno voluto darmela!... — Il pensiero della figlia era un altro tormento. Isabella stava anch’essa poco bene, lontano tanto, un viaggio che l’avrebbe rovinata per sempre, scriveva suo marito. Del resto sapevano da un pezzo come Bianca si strascinasse fra letto e lettuccio, e non avrebbero mai creduto la catastrofe così prossima. Intanto la povera madre non sapeva darsi pace, e se la pigliava con don Gesualdo e con tutti quanti le stavano vicino. Ci voleva una pazienza da santi. Aveva un bel dire suo marito: — Guarda!... Cosa diavolo ti viene in mente adesso!... Anche la gelosia ti viene in mente!... —

Essa aveva certe occhiate nere che non le aveva mai visto. Con certo suono che non le aveva mai udito nella voce rauca, essa gli diceva: