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Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/456

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— Eh? che cosa? — domandò la Cirmena.

— Ssst! ssst! — interruppe donna Agrippina.

Il barone Mèndola si chinò all’orecchio di Zacco per dirgli qualche cosa. L’altro scosse il testone arruffato e gonfio due o tre volte. La baronessa approfittò del buon momento per indurre don Gesualdo a pigliare un po’ di ristoro dalle mani stesse di Lavinia. — Sì, un po’ di brodo, due giorni che non apriva bocca il pover’uomo!...

Come passarono nella stanza accanto, che dava sulla strada, si udì da lontano un rumore che pareva del mare in tempesta. Mèndola narrò allora quello che aveva visto nel venire.

— Sissignore! Hanno messo la bandiera sul campanile.

Dicono ch’è il segno di abolire tutti i dazi e la fondiaria. Perciò or ora faranno la dimostrazione. Il procaccia delle lettere ha portato la notizia che a Palermo l’hanno già fatta... e anche in tutti i paesi lungo la strada. Sicchè sarebbe una porcheria a non farla anche qui da noi... Infine cosa può costare? La banda, quattro palmi di mussolina... Guardate!... guardate!...

Dalla via del Rosario spuntava una bandiera tricolore in cima a una canna, e dietro una fiumana di gente che vociava e agitava braccia e cappelli in aria. Di tanto in tanto partiva anche una schioppettata. Il marchese, ch’era sordo come una talpa, domandò: