Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/470

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lentamente giù per le guance floscie. — Bene, bene, mi congratulo, cugina Rubiera! La testa è sana! Conoscete ancora la gente! — Essa voleva narrargli anche i suoi guai, biasciando, sbuffando e imbrogliandosi, con la lingua grossa e le labbra pavonazze, spumanti di bava. Il barone, affettuoso, tendeva l’orecchio, si chinava su di lei. — Eh? Che cosa? Sì, sì, capisco! Avete ragione, poveretta! — In quella sopraggiunse la nuora infuriata. — Non si capisce una maledetta! — osservò Zacco. — Deve essere un purgatorio per voialtri parenti. — La paralitica fulminò un’occhiata feroce, rizzando più che poteva il capo piegato sull’omero, mentre donna Giuseppina la sgridava come una bimba, asciugandole il mento con un fazzoletto sudicio. — Che avete? che volete? stolida!... Vi rovinate la salute!... È proprio una creaturina di latte, Dio lodato! Non bisogna credere a quello che dice! Ci vuole una pazienza da santi a durarla con lei!... — La suocera adesso spalancava gli occhi, guardandola atterrita, rannicchiando il capo nelle spalle, quasi aspettando di essere battuta: — Vedete? Santa pazienza!

— Ve l’ho detto, — conchiuse il barone. — Avete il purgatorio in terra, per andarvene diritto in paradiso.

Indi giunse don Ninì a prendere le chiavi della cantina. Trovando il cugino fece un certo viso sciocco.