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V.




Parve a don Gesualdo d’entrare in un altro mondo, allorchè fu in casa della figliuola. Era un palazzone così vasto che ci si smarriva dentro. Da per tutto cortinaggi e tappeti che non si sapeva dove mettere i piedi — sin dallo scalone di marmo — e il portiere, un pezzo grosso addirittura, con tanto di barba e di soprabitone, vi squadrava dall’alto al basso, accigliato, se per disgrazia avevate una faccia che non lo persuadesse, e vi gridava dietro dal suo gabbione: — C’è lo stoino per pulirsi le scarpe! — Un esercito di mangiapane, staffieri e camerieri, che sbadigliavano a bocca chiusa, camminavano in punta di piedi, e vi servivano senza dire una parola o fare un passo di più, con tanta degnazione da farvene passar la voglia. Ogni cosa regolata a suon di campanello, con un cerimoniale di messa cantata — per avere un bicchier d’acqua, o per entrare nelle stanze della fi-