Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/520

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vasi colla figliuola, alle volte, cogli occhi accesi dalla disperazione. — Non è per risparmiare... Sarà della roba buona... Ma il mio stomaco non c’è avvezzo... Rimandatemi a casa mia. Voglio chiuder gli occhi dove son nato!

L’idea della morte ora non lo lasciava più; si tradiva nelle domande insidiose, nelle occhiate piene di sospetto, anche nella preoccupazione affannosa di dissimularla in vari modi. Adesso non aveva più suggezione di nessuno, e afferrava chi gli capitava per domandare:

— Voglio sapere la verità, signori cari... Per regolare le mie cose... i miei interessi... — E se cercavano di rassicurarlo, dicendogli che non c’era nulla di grave... di serio... pel momento... egli tornava ad insistere, ad appuntare gli occhi, furbo, per scavar terreno: — È che ho tanto da fare laggiù, al mio paese, signori miei... capite!... Non posso mica darmi bel tempo, io!... Bisogna che pensi a tutto, se no c’è la rovina!...

Poi spiegava di dove gli era venuto quel male: — Sono stati i dispiaceri!... i bocconi amari!... ne ho avuti tanti! Vedete, me n’è rimasto il lievito qui dentro!... — Era tornato diffidente. Temeva che non vedessero l’ora di levarselo di torno, per risparmiar la spesa e impadronirsi del fatto suo. Cercava di rassicurar tutti quanti, col sorriso affabile: