Pagina:Matilde Serao Il ventre di Napoli, 1906.djvu/26

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14 Il ventre di Napoli

Abita laggiù, per forza. È la miseria sua, costituzionale, organica, così intensa, così profonda, che cento Opere Pie non arrivano a debellare, che la carità privata, fluidissima non arriva a vincere; non la miseria dell’ozioso, badate bene, ma la miseria del lavoratore, la miseria dell’operaio, la miseria di colui che fatica quattordici ore al giorno.

Questo lavoratore, quest’operaio non può pagare un affitto di casa, che superi le quindici lire il mese: e deve essere un operaio fortunato, vi è chi ne paga dieci, chi ne paga sette, chi ne paga cinque; questi ultimi formano la grande massa del popolo. Anni fa, una compagnia cooperativa edificò, verso Capodimonte, un falansterio di case operaie, chiare, pulite, strettine, ma infine igieniche: per quanto restringesse i prezzi, non potette dare i suoi appartamentini, a meno di trentaquattro lire al mese.

Nessuno operaio vi andò.

Vi andarono degli impiegati con le famiglie, qualche pensionato, gli sposetti poveri, insomma