Pagina:Matilde Serao Il ventre di Napoli.djvu/53

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È gente umile, bonaria, che sarebbe felice per poco e invece non ha nulla per essere felice; che sopporta con dolcezza, con pazienza la miseria, la fame quotidiana, l’indifferenza di coloro che dovrebbero amarla, l’abbandono di coloro che dovrebbero sollevarla.

Felice per l’esistenza all’aria aperta, eredità orientale, non ha aria; innamorata del sole, non ha sole; appassionata di colori gai, vive nella tetraggine; per la memoria della bella civiltà anteriore, greca, essa ama i bianchi portici che si disegnano sull’azzurro, e invece le tane dove abita questa gente non sembrano fatte per gli umani; e dei frutti della terra, essa ha i peggiori, quelli che in campagna si danno ai porci; e vi sono vivande che non assaggia mai.

Ebbene, provvidenzialmente, per un lato, il popolo napoletano rifà ogni settimana il suo grande sogno di felicità, vive per sei giorni in una speranza crescente, invadente, che si allarga, si allarga, esce dai confini della vita