Pagina:Matilde Serao La moglie di un grand'uomo, 1919.djvu/221

Da Wikisource.

dualismo 213


Una sera — notisi — di autunno, la conversazione fra quei due languiva, esaurita. Non già che nulla trovassero più da dire, ma un certo senso di stanchezza scendeva sovr’essi. Tutta la sera il loro spirito avea brillato vivacemente e i motti graziosi, le gentili ironie, i cortesi sottintesi, le amabilità mordaci erano piovute senza intermittenza. Ora tacevano. La contessa si distendeva un poco sulla sua poltroncina: era adorabile sotto il quieto lume della lampada; ma il marchese, anche riconoscendo questa verità, aveva il buon gusto di non parlarne. Egli giocherellava con una stecca di madreperla.

— Il matrimonio è una gran bella cosa — mormorò, con una falsa aria di convinzione.

— Pei celibi, sì — ribattè subito la contessa.

E si aggiustò il merletto della cravatta. Ernesto prese un libro dalla tavola, ne lesse il titolo e lo posò di nuovo.

— Sapete che cosa dicono laggiù di noi?

— Non lo so. E non desidero saperlo.

— Allora è segno che debbo dirvelo. Molti nostri comuni amici sono d’accordo nella opinione che noi due siamo persone di troppo spirito per isposarci mai.