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ignoranza del soggetto a indicarne la presenza ai Zootomi.

Vi dirò finalmente del poco che ho potuto fare, e che credo possa farsi, per studiare la natura chimica della materia fosforescente. Questa materia tratta dall’animale vivo ha un odore particolare che ricorda quello del sudore dei piedi: non è nè acida nè alcalina, si dissecca facilmente all’aria, sembra coagularsi a contatto degli acidi diluiti, non si scioglie sensibilmente nè nell’alcool, nè nell’etere, nè nelle soluzioni alcaline deboli: si scioglie e s’altera nell’acido solforico e idroclorico concentrati e coll’aggiunta del calore, e con quest’ultimo la soluzione non diviene bleu. Scaldata in un tubo manda i soliti prodotti ammoniacali. Non v’è in essa traccia sensibile di fosforo, e me ne sono assicurato bruciandola più volte col nitro in un crogiuolo di platino, e trattando il residuo disciolto coi soliti reattivi che scoprono i fosfati. Dopo tutto ciò che abbiam detto, non si poteva credere alla presenza del fosforo, come cagione della luce in questi insetti. Forse operando sopra un grandissimo numero di questi animali, si troverebbe quella piccola traccia di fosforo, che ordinariamente si trova in tutte le sostanze organiche.

Concluderò in seguito di tutte le conseguenze sperimentali suaccennate, che l’acido carbonico si produce pel contatto della sola materia fosforescente separata dell’animale coll’ossigene che cessa la luce fuori di questo gas, e che in contatto del medesimo vi è luce e si produce un volume di acido carbonico, uguale a quello dell’ossigene scomparso; che la sostanza fosforescente della lucciola, non più luminosa, non esercita nemmeno azione sull’ossigene.

È dunque naturale il supporre che nei segmenti luminosi di questi insetti, inviluppali da membrane trasparenti, avvenga per mezzo delle molte trachee che vi si veggono sparse, il contatto dell’aria atmosferica o piuttosto del suo ossigene con una sostanza sui generis principalmente composta di carbonio, d’idrogene, d’ossigeno e d’azoto. I