Pagina:Maturin - Melmoth, I, 1842.djvu/226

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pa per arrivare al mio intento. Oserei confessarvene il motivo, signore; ma io medesimo non saprei dirvi quale esser potesse, se non fosse, che io era tanto infelice che non mi sarebbe spiaciuto di acquistarmi l’epidemia, nella speranza di terminare una vita, che non era per me, se non uno stato di noia e di dolore.

Una sera io sortiva dall’avere assistito alla morte d’uno de’ nostri fratelli, e discesi nel giardino quantunque fosse già inoltrata la notte; cotesta indulgenza, però necessaria per la salute, era stata accordata a tutti quelli che assistevano gli ammalati. Io era sempre pronto a profittare di tal permissione. Il giardino rischiarato dal placido ed equabile splendor della luna, l’innocenza de’ cieli, la mano dell’Onnipossente impressa sulla loro volta, erano per me ad un tempo un rimprovero ed una consolazione. Mi provai a riflettere, a sentire; ma tutti i miei sforzi furono inutili. Forse in cotesto silenzio dell’anima, in cotesta sospensione della voce penetrante delle passioni, noi