Pagina:Maturin - Melmoth, II, 1842.djvu/97

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rava che una cosa, di non ricadere cioè nelle mani della inquisizione: tutto il resto erami indifferente. Mi trovava in quella situazione di spirito, che riunisce i due estremi, del coraggio e della pusillanimità. Ad un tratto vidi un debole splendore di luce. Giusto cielo! Qual fu la mia gioia allo scorgerlo! Come affrettai il passo per avvicinarmi a quella! Nè tardai molto a discoprire, essa luce provenire dalle fenditure di una porta, che l’umidità aveva sufficientemente dilatate, perchè potessi vedere lo interno dell’appartamento. M’inginocchiai avanti ad una di quelle fessure, e vidi una gran sala, le cui pareti erano ricoperte di saia di color molto oscuro dal soffitto fino a quattro piedi di distanza dal pavimento. Il rimanente era fasciato di stuoie molto fitte, e senza dubbio per impedire l’effetto della sotterranea umidità. In mezzo della sala era una gran tavola coperta di un drappo nero, e su di essa una lucerna di ferro di una forma antica, ma singolare. Il lume di questa lucerna era stato quello, che