Pagina:Mazzarella - Di Tito Lucrezio Caro e del suo poema De Rerum Natura, 1846.djvu/111

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dottrina che il Filosofo Arpinate (sebbene in generale ecletico e dubitante) con assiduo ardore combatte; in secondo luogo perchè, fra tante sue pubbliche e gravissime cure, e colla meravigliosissima larghezza dei dettati che sono di certa sua pertinenza, assai difficilmente avrebbe questi trovato tempo da spendere intorno a lavoro non proprio, e ciò tanto meno, quando si volesse prestar fede ai detrattori del suo merito in fatto di poesia: ed infine poi, perchè, se davvero avesse dato opera a sì improba ed ardua fatica, avido com’era di gloria, non lo avrebbe taciuto, mentre a rincontro non solo dissimula la cosa, ma (credendo alla comun lezione delle sue epistole) assai avara lode egli concede al lucreziano poema (Ep. ad Q. Fr. II. 11).

Nell’escludere la mano di Cicerone anche Eichstædt è con me concorde; ma per altro l’opinione ch’egli spiega non mi persuade neppure essa gran fatto: «Lucretiani carminis olim duas fuisse recensiones, quarum altera illud exhiberet, prout de manu auctoris exisset, inchoatum et rude; altera limatum et a nescio quo politum, non item constanti et pertinaci studio perpolitum». E cotale opinione sarebbe poi più rincalzata dal Forbiger, solo che questi insisterebbe a provare che le modificazioni