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inaroiio il severo biasimo: il conte Cavour diventò poi onnipotente, ma senza trovar modo di provvedere. Se il Governo avesse da lungo mirato a prepararsi pretesti per abbandonare la Sardegna all’usurpazione straniera, non avrebbe amministrato altramente. Io vorrei che mi s’ additasse il ))opolo capa(;e di resistere a soli vent’auni di sgoverno siffatto, senza volgere a condizioni di semi barbarie.
Prima coudizione per migliorare un popolo è mostrargli stima ed affetto, ispirargli fiducia in sé e coscienza del buono, poco o molto, ch’è in esso. Ora il Governo fece, calcolatamente o no. poco monta, perennemente il contrario. La Sardegna fu disprezzata come inutile o peggio. Persino la ricchezza delle sue foreste fu tenuta in non cale. Il ministro Villamarina cominciò, speculando, a distruggerle. I legnami di costruzione si vendevano agli arsenali di Francia e Inghilterra, e lo Stato si provvedeva, per la propria marina, a caro prezzo nelF Indie o altrove. Il non curare cosa alcuna che venisse dall’isola, diventò nelle sfere governative moda, smania, mania. Il generale Alberto Lamarmora dichiarava al Senato, sui primi del dicembre 1851, che mentr’egli era governatore dell’isola, ave-va dovuto udire il uíinistro dell’interno a dargli per unica risposta a parecchie urgenti diniande: non vogliamo sapere di cose della Sardegna. Quella parola riepilogava tutta una storia. E quando pure la necessitá costringe il Governo a occuparsi dell’isola, la negligenza sprezzosa, la trascuranza, l’ignoranza che campeggiano noi provvedimenti, fanno commento eloquente alla risposta di quel ministro. Io non ne citerò piú che un esempio: il modo col quale fu fatta la nuova circoscrizione dei circondari, eguale in tutto al modo con cui ac-