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sull’Etiopica, che l’Italia ne aveva avuto già abbastanza ed era disposta a privarsene senza rammarico; ma per riguardo alla questione dei confini dell’Eritrea, che rimaneva sempre aperta e faceva temere un’umiliante riduzione loro, od appigli per una nuova guerra.

Vi fu anche chi dubitò della generosità di Menelik nel lasciare arbitro il Governo italiano di fissare la somma per pagare il mantenimento dei prigionieri, e chi criticò l’opera diplomatica del Nerazzini ritenendone i risultati eguali o meno favorevoli di quelli già concessi dal Negus a Salsa il 16 marzo nel convegno al Farras Mai.

Tuttavia, considerato che l’Italia sarebbe stata disposta a qualunque sacrificio per liberare quei prigionieri che erano nelle mani di Menelick, e considerato anche la poca fiducia che generalmente inspirano le promesse, le offerte ed i patti di Menelik, la maggioranza della popolazione si adattò facilmente a sanzionare non sfavorevolmente l’opera del Nerazzini, tantopiù che la somma pagata pei prigionieri (somma che si conobbe poi di circa 10 milioni) non poteva essere colossale, essendovisi rimediato coi fondi già votati per la guerra senza ricorrere alla necessità di uno speciale e nuovo stanziamento che gravasse sul bilancio.

In seguito alla convenzione stipulata da Nerazzini ed approvata pienamente dal Governo, i prigionieri italiani raccolti allo Scioa furono riuniti in scaglioni e per la via dell’Harrar dal dicembre 1896 al maggio 1897 in numero