Pagina:Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Tomo XXIX.djvu/665

Da Wikisource.

balbo 219

due di filosofia, due di logica, uno di metafisica; uno di matematica, due di lettere latine, e due di greco; di modo che il numero totale dei professori era di trentasette, de’ quali due di teologia, diciotto di legge, sette di medicina, e dieci di scienze e lettere.

20. Una parte dell’insegnamento legale faceasi ne’ giorni di festa e di vacanza da scolari, che aveano quattro anni di studio: alcuni di questi scolari portavano il titolo di lettori straordinarii, e godevano di un tenue onorario, la qual usanza è durata fino al dì d’oggi nella Università di Pisa.

31. Eranvi tre collegii di dottori; teologi, legali, medici: le arti, cioè a dire la filosofia razionale, le scienze fisiche e matematiche, e le belle lettere, erano unite alla facoltà di medicina; Davanti questi collegii si faceano gli esami pubblici per la collazione dei gradi, e si conferivano questi gradi non solo nelle tre primarie facoltà, ma eziandio in chirurgia, in matematica, e perfino in musica, il che era comune all’Università di Mondovì. È da notarsi che a que’ tempi, in altri paesi, i chirurghi erano perseguitati dai medici, e messi del pari co’ barbieri: ma la facoltà di medicina fu più onorata in Piemonte di quel che fosse in molti altri luoghi, a segno che dal secolo sedicesimo sino al diciottesimo ebbe a godere di una perfetta eguaglianza colla facoltà legale.

22. Molti celebri professori illustrarono nella Università di Torino il regno di Emanuele Filiberto, e principalmente in leggi Antonio Goveano, Gian Giacomo Menochio, Aimone Cravetta, Giovanni Vaudo, Giovanni Manuzio, Guido Pancirolo, e Cujacio; in medicina Francesco Vimercati, Giovanni Argentieri, ed altri; in belle lettere Giraldi, in matematica Francesco dell’Ottonajo, e Giambattista Benedetti, che fu in qualche aspetto riguardato come precursore dell’immortal Galileo.

23. II successore di Emanuele Filiberto, Carlo Emanuele primo, dotto principe e protettore dei dotti, non pare tuttavia, che abbia potuto mantenere l’Università di Torino nello stesso grado di splendore cui l’aveva inalzata il padre, ma vi ebbe ancora alcuni