Pagina:Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Tomo XXIX.djvu/691

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del cav. di s. quintino 245

quivi, fra molti altri colossi, in vece di colonne, certe figure d’animali alti sedici cubiti tutte di un solo pezzo, e scolpite all’uso degli Antichi. Nel vestibolo del medesimo sepolcro vedevansi tre enormi statue di pietra sienite, anch’esse tutte d’un pezzo; una delle quali, la più grande che fosse in tutto Egitto, era di tal proporzione che la sola lunghezza de’ suoi piedi superava i sette cubiti. Questo lavoro, soggiunge Diodoro, non era tanto degno di lode per la sua mole, quanto per l’arte maravigliosa, e per l’eccellenza della pietra in cui era scolpito1. Nulla vi ha dunque d’improbabile che anche la statua maggiore di questo R. museo, che pur tanto meno grande di quella, possa essere opera de’ suoi tempi.

Quel colosso era il simulacro di Osimandia, sul quale stava scritto: Osimandia Re dei Re. Non può essere maggiore la somiglianza di questa orientale epigrafe con quella di Mandui Signore dell’universo, che si legge sulla nostra statua, come si vedrà fra poco. Sul suo capo stavano: τρεῖς βασιλείας ἐπὶ τῆς κεφαλῆς, le quali, giust’il parere del Salmasio e del dottissimo Heyne2, non erano altra cosa che una triplice corona od insegna reale; e noi la ravvisiamo pure sulla testa della detta statua nel serpente Reale, e nelle due parti distinte dello Pscent, i quali emblemi, come è note, alla podestà Reale, ed al dominio sulle regioni superiori ed inferiori dell’universo si riferivano.

Finalmente nel secondo atrio di quel sepolcro si vedevano rappresentali in rilievo i fasti più memorandi della guerra contro i Battriani, e nell’intimo sacrario lo stesso Osimandia scolpito con molta arte, e dipinto con vivaci colori, in atto di offerire alla divinità l’oro e l’argento che si traeva ogni anno dalle miniere dell’Egitto. Con quell’oro medesimo era stato fatto da lui quell’immenso

  1. Opus id non tantum ob magnitudinem commendatione dignum, sed etiam ab artem admirandum, et saxi natura excellens, cum in tam vasta mole neque fissura, neque labes ulla conspiciatur. Hanc vero inscriptionem praeferre: sum Osmanduas rex regum Diod. Bibl. cap. 1. §. 47. Edit. Bipont.
  2. Diod. Bibl. Edit. Bipont. Vol. I. nota alla facc. 45