Pagina:Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri.djvu/207

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lettera1, e per iscusarlo non seppe dir altro, se non che egli era un uomo, il quale non di rado faceva apertamente conoscere di parlare più «per affetto, che per opinione». Ma il Tasso non si avvedde, che questa era una nera impostura del Doni, inventata per qualche suo fine particolare. Ed in vero la falsità delle accuse date a’ Veneziani non provano bastantemente, che l’Allighieri non averebbe potuto scrivere quanto leggesi nella lettera, che porta in fronte il suo nome? Paolo Paruta lo Storico, o altri di questo nome, compose una «Risposta alla detta lettera in difesa dei Veneziani»; ma più modernamente il procurator Marco Foscarini2, e il defunto padre Gio. degli Agostini3 hanno dimostrato senza fallo a maraviglia, che non potettero mai uscire dalla penna del nostro maggior poeta tante ingiurie contro questa sì gloriosa Repubblica4. È assai che monsignor Fontanini ed il Biscioni non si avvedessero di una simil falsità, mentre per dichiarar tale la lettera di Dante, basta l’osservare che non si è ancora incontrata in alcun manoscritto, e che il Doni non ci dette il discarico donde l’avesse presa. L’altre Epistole che scrisse Dante, si sono perdute, siccome anche la Storia dei Guelfi e dei Ghibellini da esso composta in lingua volgare, se dobbiamo prestar fede al citato Filelfo, che della medesima riferisce il principio5. Finalmente nel primo volume della Raccolta intitolata «Carmina

  1. Il mentovato Doni fu il primo a pubblicarla fra le suddette prose pag. 75.
  2. Nella sua bellissima opera della Letteratura Veneziana Tomo I. b. 3. pag. 319.
  3. Nella prefazione premessa al Volume I. delle notizie Istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori Veneziani pag. 19.
  4. Nel Tom. I. del saggio di storia Veneta dell’Abate Cristoforo Tentori, pag. 250 e seg. si trova un esame critico sulle supposte lettere di Dante pubblicate da Anton Francesco Doni nel 1547. poco onorevoli al Veneto Governo, e si danno per apocrife.
  5. Così «Dovendo de’ fatti nostri favellare, mólto debbo dubitare di non dir con presumptione, o malchompositamente cosa alcuna ec.».