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DI LIONARDO DA VINCI. | 27 |
A ciò s’aggiunse il lodevol motivo, o pretesto almeno, di dare al piccol duca nipote suo una educazione quale a gran sovrano conveniva; onde meglio colorir così l’iniquo progetto di togliergli la Signoria.» Egli pertanto, non contento, come dice il Tantio1, d’aver ornato Milano di pace, dovizia, templi e magnifici edifizj, volle ancora arricchirlo di mirabili, e singolari ingegni, i quali a lui, di loro vera calamita, concorreano». Perciò chiamò quì con onorevoli stipendj il lodato fiorentino Bellincioni, che teneasi allora pel più arguto e faceto poeta italiano, acciocchè, dice il mentovato Tantio, »per l’ornato parlare fiorentino e per le argute e terse sue rime venisse a limare e polire l’alquanto rozzo parlare della nostra città; e sì gran frutto ei fece, che non solo la Cantarana e ’l Nirone, ma tutti due i navigli sono diventati acqua di Parnasso». Il Bellincioni2 medesimo ha
- ↑ Prefazione alle Rime del Bellincioni.
- ↑ Pag. 30.
Galeazzo Visconti invitò i più valenti maestri di quest’arte per la fabbrica del duomo; ma non lasciò essa le così dette gotiche maniere. Come poi sino a Lionardo s’andassero le tre arti migliorando, veder si può nella mentovata opera del Lanzi; e più diffusamente ancora il leggo delle inedite Memorie per servire alla Storia de' Pittori Scultori e Architetti milanesi, del su ab. Antonio Albuzzi possedute ora dal valente Raccoglitore degli Economisti italiani Pietro Custodi che cortesemente me le ha comunicate.