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284 via appia—ponte leproso

di tufo trachitico, a simiglianza di Ponticello1. Rovinato quello, fu più solidamente costruito di massi lapidei, poggiandoli sulle antiche fondazioni dove erano buone. Di fatti, se non fosse stato così, perchè non avrebbero costruite le fondazioni con pietrame calcareo, tanto abbondante nei greti del fiume Sabato, dei torrenti vicini e nella campagna prossima, e dei quali son costruite non solo le fondazioni, ma anche le masse interne murali delle opere romane, qui esistenti, dell’epoca imperiale? Nei saggi da me praticati nei punti 23 e 24 (Tav. XL) ho riconosciuta la stessa specie di muratura antica, e la stessa ho vista demolire dai contadini pochi anni sono al di là del ponte Leproso, dove l’Appia cominciava a salire, oltre il camposanto di S. Clementina: e si apparteneva appunto ai muri di sostegno dell’Appia.

Aggiungo un’altra osservazione: non mi sembra verosimile che i romani, sì gelosi custodi delle tombe e dei sepolcri, abbiano potuto costruire il mausoleo, che è sotto le scale della chiesa dei SS. Cosimo e Damiano, di livello molto sottoposto a quello della via, massime per l’estrema vicinanza, come abbiam visto; è dunque più probabile che il mausoleo sia preesistito, col suo zoccolo poggiato sull’antico livello della via, quando essi furono costretti a sopraelevarla.

Penso dunque che in origine il ponte sia stato costruito, a simiglianza di Ponticello2, di massi di tufo trachitico; poi, nell’epoca della repubblica o nei primi tempi dell’impero sia stato ricostruito di massi lapidei; e infine restaurato con laterizii nella tarda epoca imperiale.

De Vita e Borgia, come dissi3, attribuirono al ponte Leproso la iscrizione del Grutero nella quale si dice che Settimio Severo e suo figlio abbiano restaurato un ponte; la quale iscrizione sembra che Garrucci riferisca invece al Ponte Tufaro. Non è possibile vedere chi abbia ragione, mancando una notizia precisa del sito ove la epigrafe fu letta da Ciriaco d’Ancona.

Se avessero ragione De Vita e Borgia, riterrei che i restauri

  1. Vedi pag. 255 di quest’opera.
  2.  id. id.
  3. Vedi pag. 266 di quest’opera.