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120 ii - siroe


Siroe. Ancor non sei contenta?
Emira. Ancor pago non sei?
Siroe.  Forse ritorni
ad insultare un misero innocente?
Emira. Vai forse al genitore
a palesar quel che taceva il foglio?
Siroe. Quel foglio in che t’offese? Io son creduto
reo del delitto, e mel sopporto e taccio.
Emira. Ed io, crudel, che faccio,
qualor t’insulto? Assicurar procuro
Cosroe della mia fé, piú per tuo scampo
che per la mia vendetta.
Siroe.  Ah! dunque, o cara,
fa’ piú per me. Perdona al padre, o almeno,
se brami una vendetta, aprimi il seno.
Emira. Io confonder non so Cosroe col figlio.
Odio quello, amo te; vendico estinto
il proprio genitore.
Siroe.  E il mio, che vive,
per legge di natura anch’io difendo.
Sempre della vendetta
piú giusta è la difesa.
Emira. La generosa impresa
dunque tu siegui; io seguirò la mia.
Ma sai però qual sia
il debito d’entrambi? A noi, che siamo
figli di due nemici,
è delitto l’amor: dobbiamo odiarci.
Tu devi il mio disegno
scoprire a Cosroe, io prevenir l’accusa;
tu scorgere in Emira il piú crudele
implacabil nemico, in Siroe io deggio
abborrir d’un tiranno il figlio indegno.
Cominci in questo punto il nostro sdegno.
 (in atto di partire)
Siroe. Mio ben, t’arresta.