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194 iii - catone in utica


Emilia. (Piú dubitar non posso: è Marzia amante.)
Fulvio. Eh! che non è piú tempo
che si parli di pace. A vendicarci
andiam coll’armi: il rimaner che giova?
Cesare. No: facciam del suo cor l’ultima prova.
Fulvio. Come!
Marzia.  (Respiro.)
Emilia.  Or vanta,
vile che sei, quel tuo gran cor. Ritorna
supplice a chi t’offende, e fingi a noi
che è rispetto il timor.
Cesare.  Chi può gli oltraggi
vendicar con un cenno, e si raffrena,
vile non è. Marzia, di nuovo al padre
vuo’ chieder pace, e soffrirò fin tanto
ch’io perda di placarlo ogni speranza.
Ma, se tanto s’avanza
l’orgoglio in lui che non si pieghi, allora
non so dirti a qual segno
giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
               Soffre talor del vento
          i primi insulti il mare,
          né a cento legni e cento,
          che van per l’onde chiare,
          intorbida il sentier.
               Ma poi, se il vento abbonda,
          il mar s’innalza e freme;
          e, colle navi, affonda
          tutta la ricca speme
          dell’avido nocchier. (parte)