Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto primo | 249 |
Fulvia. Ezio cosí tranquillo
la sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?
Ezio. Tu sei pur d’ogni laccio
disciolta ancora. Io parlerò. Vedrai
tutto cangiar d’aspetto.
Fulvia. Oh Dio! se parli,
temo per te.
Ezio. L’imperator finora
dunque non sa ch’io t’amo?
Massimo. Il vostro amore
per téma io gli celai.
Ezio. Questo è l’errore.
Cesare non ha colpa. Al nome mio
avria cangiato affetto. Egli conosce
quanto mi deve, e sa ch’opra da saggio
l’irritarmi non è.
Fulvia. Tanto ti fidi?
Ezio, mille timori
mi turban l’alma. È troppo amante Augusto:
troppo ardente tu sei. Rifletti, oh Dio!
pria di parlar. Qualche funesto evento
mi presagisce il cor. Nacqui infelice,
e sperar non mi lice
che la sorte per me giammai si cangi.
Ezio. Son vincitor, sai che t’adoro, e piangi?
Pensa a serbarmi, o cara,
i dolci affetti tuoi;
amami, e lascia poi
ogni altra cura a me.
Tu mi vuoi dir col pianto
che resti in abbandono:
no, cosí vil non sono,
e meco ingrato tanto
no, Cesare non è. (parte)