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250 iv - ezio


SCENA IV

Massimo e Fulvia.

Fulvia. È tempo, o genitore,
che uno sfogo conceda al mio rispetto.
Tu pria d’Ezio all’affetto
prometti la mia destra; indi m’imponi
ch’io soffra, ch’io lusinghi
di Cesare l’amore, e m’assicuri
che di lui non sarò. Servo al tuo cenno,
credo alla tua promessa; e, quando spero
d’Ezio stringer la mano,
ti sento dir che lo sperarlo è vano.
Massimo. Io d’ingannarti, o figlia,
mai non ebbi il pensier. T’accheta. Alfine,
non è il peggior de’ mali
il talamo d’Augusto.
Fulvia.  E soffrirai
ch’abbia sposa la figlia
chi della tua consorte
insultò l’onestá? Cosí ti scordi
l’offesa dell’onor? Cosí t’abbagli
del trono allo splendor?
Massimo.  Vieni al mio seno,
degna parte di me. Quell’odio illustre
merita ch’io ti scopra
ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
dell’onor mio dissimulai le offese.
Perde l’odio palese
il luogo alla vendetta. Ora è vicina:
eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
tu puoi svenarlo, o almeno
agio puoi darmi a trapassargli il seno.
Fulvia. Che sento! E con qual fronte
posso a Cesare offrirmi